Ogni volta che ci si dichiara contrari all’impianto di spazzamento che AMA ha programmato di inserire nell’area di via Salaria 981 si ricevono le solite accuse di avere la sindrome “Nimby”, oppure si osserva sul perché bisognerebbe avere per l’area del Salario un comportamento diverso da quello riservato ad altre aree con impianti che sono presenti sul territorio di altri Municipi.
E’ il caso allora di mettere in fila il perché il Salario è differente e il perché la battaglia dei cittadini del Municipio III contro la scelta di localizzare lì l’impianto è non solo giusta ma sacrosanta. Si tratta di una chiara ed evidente lotta di giustizia spaziale.
L’area di proprietà dell’AMA su via della Salaria 981 e che costeggia il Tevere ha una estensione di circa 3,4 ettari e in origine era uno stabilimento industriale, si producevano le autoradio della marca “Autovox”, era un’area destinata ad attività industriali e artigianali. All’inizio degli anni 2000 l’AMA compra l’area e assume anche una parte dei dipendenti che rischiavano di perdere il lavoro con la chiusura della fabbrica. L’area fu destinata ad attività di logistica, di deposito fino a quando l’assessore comunale Di Carlo non propose di trasformarla per realizzare lì un impianto di trattamento meccanico e biologico dei rifiuti (TMB). L’autorizzazione integrale ambientale necessaria per autorizzare l’impianto venne rilasciata dalla Regione che valutò il contesto come non urbano basandosi sulle carte del Prg del 1962, quello nuovo, che invece riconosceva lo stato di fatto con tutte le nuove attività e costruzioni che nel frattempo erano state costruire lungo la Salaria, era in fase di redazione e venne approvato solo nel 2008.
L’attività dell’impianto di trattamento dei rifiuti è andata avanti per oltre dieci anni fino al dicembre del 2018 quando prese fuoco. Gli abitanti di Villa Spada, di Fidene, di Serpentara sono stati fin dall’apertura dell’impianto sottoposti ai cattivi odori che rendevano l’aria irrespirabile. D’altronde le case sono a poche decine di metri dall’impianto e nel tempo si è anche realizzato un asilo e altri servizi sociali che ospitano i disabili. Guardando le carte sulla base delle quali sono state concesse le autorizzazioni per l’impianto intorno c’era poco o nulla. Invece la situazione reale è che se si fa centro sull’impianto per un raggio di soli 500 metri la popolazione coinvolta è di qualche decina di miglia di abitanti. Quell’impianto lì semplicemente non ci doveva stare, è in un sito per attività di servizio e artigianali ma non consente il trattamento dei rifiuti.
Quando scoppiò l’incendio nel 2018 la battaglia dei cittadini fu determinante per non farlo riaprire, altre volte c’erano stati incendi, sebbene di entità più lieve, ma ben presto l’impianto era stato rimesso nuovamente in attività. Nel 2018 invece si apri un percorso che grazie alla determinazione dei cittadini organizzati nell’osservatorio permanete ottenne il ritiro dell’AIA, l’autorizzazione integrale ambientale, era il 12 settembre del 2019 a conclusione dell’istruttoria condotta dalla Regione Lazio su indicazione dell’allora Assessore Massimiliano Valeriani.
Un risultato importante quello in cui i cittadini e l’istituzione municipale insieme avevano rimediato all’errore iniziale che comportò un decennio di sofferenze per i cittadini a causa dei miasmi emessi dall’impianto. Miasmi che hanno comportato malattie, disagi; l’osservatorio tra l’agosto e il settembre del 2018 censì con delle schede il tipo di disagio alla salute. L’elenco testimoniato dai cittadini era impressionante e i cattivi odori furono censiti nei giorni e nelle ore in cui erano emesse e nelle quali anche respirare diventava difficile.
Il ritiro dell’AIA ha significato riportare l’area a utilizzazioni sostenibili coerenti con il carattere urbano del contesto, per questo fin dall’inizio l’ipotesi di riusare l’area dell’ex TMB prima per un centro direzionale di AMA e poi per un centro per l’economia circolare basato sulle tre “R”, riuso, riciclo e riparazione è sembrata la soluzione più coerente per mettere a valore l’area di proprietà di AMA e restituire una vita e un contesto dignitoso ai cittadini.
Come Roma Futura ci stiamo impegnando a riportare la discussione sul merito e non siamo certo contrari agli impianti e non siamo ignari dell’importanza della chiusura del ciclo die rifiuti, ma la scelta del Salario è sbagliata perché ripropone l’errore commesso già dall’amministrazione comunale nel 2008 e contraddice la lotta per la cancellazione dell’AIA e la decisione politica della giunta di Zingaretti di certificarne la cancellazione. Mettere lì un impianto vuol dire tornare indietro noi invece vogliamo guardare al futuro, vogliamo andare avanti. Si al futuro, no al passato con i rifiuti.
Quindi possiamo dire che siamo contrari all’impianto di spazzamento in quel sito perché contraddice tutto questo percorso? Possiamo dire che siamo contrari a quell’impianto perché compromette la possibilità di ripensare il futuro e andare oltre? E ancora, possiamo dire che essere contrari all’impianto significa che bisogna ripartire dal riprogettare il futuro di quell’area dentro alle politiche dell’economia circolare ed evitare che una logica tutta e solo tecnocratica ci dissipi una risorsa patrimoniale così importante?
E’ per tutto questo che siamo impegnati e condividiamo il percorso dei cittadini.
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